I popoli “mostruosi” nel Medioevo

Cari lettori, oggi voglio proporvi un estratto di un saggio scritto ai tempi (ahimé, andati) dei miei studi universitari per l’esame di storia dell’arte medievale, riguardante i popoli mostruosi nel Medioevo… Spero lo troverete interessante! Buona lettura!

Con il termine “popoli mostruosi” viene designato un corpus mitologico omogeneo, sviluppatosi esclusivamente nell’Occidente greco-latino e medioevale, che include diversi tipi di popolazioni fantastiche che abitano terre lontane o sconosciute all’autore che le descrive, le terre in cui “hic sunt leones”, utilizzando la nota locuzione latina.

Per comprenderne più a fondo il significato, è utile ricostruire il profilo etimologico della parola “mostro”. In greco “mostro” è téras, termine di origine oscura, che indica prima il segno divino e che spesso implica un’atmosfera di terrore, mentre da Omero in poi la parola téras si applica a qualsiasi segno divino che i mortali possono interpretare per prevedere il futuro; da téras e -logia (“discorso”, “studio”), è derivato il termine “teratologia”.

Il patrimonio teratologico del Medioevo è costituito da diversi apporti successivi, che si sono poi stratificati e sedimentati;  dalla fine dell’Antichità è difficilissimo incontrare mirabilia del tutto nuovi. Il Medioevo non inventa, bensì riproduce, interpreta, amplifica e contamina le fonti antiche, greche e romane, e quelle provenienti dal Medio ed Estremo Oriente. Si possono distinguere tre vie attraverso le quali le informazioni relative agli esseri mostruosi furono trasmesse ai dotti medievali: le tradizioni orali, la tradizione archeologica e la tradizione letteraria. Tra le fonti antiche principali, possiamo citare Ctesia di Cnido (fine V – inizio IV sec. a.C.), che, nel suo Indikà, prima vasta documentazione sull’India e sulle sue popolazioni fuori dal comune, per la prima volta parla di Pigmei, Sciapodi, Cinocefali, Acefali, Panotii, giganti, uomini con la coda, tutte razze mostruose che poi diventeranno celebri nel Medioevo, e Megastene (vissuto tra il IV e il III secolo a.C.), nelle sue Notizie sull’India; mentre le principali fonti romane sono la Naturalis historia di Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), i Collectanea rerum memorabilium di Caio Giulio Solino (III secolo d.C.) e Agostino d’Ippona (354-430), il quale, nel De Civitate dei, deve ammetterne l’esistenza e persino conferire loro una sorta di “legalità”: se il mostro esiste, è perché è stato voluto da Dio per delle ragioni che possono anche rimanerci sconosciute, e anche’esso allora va considerato come essere umano che aspira alla resurrezione. Agostino può essere, quindi, considerato la cerniera fra Età Antica e Medioevo, fra cultura pagana e cultura cristiana.

Nel mondo classico il “diverso” è chiunque abbia usi e costumi differenti da quelli di chi osserva, e questi elementi sono utilizzati per caratterizzare le razze mostruose fino a tutto il Medioevo e anche oltre. Per essere un mostro, dunque, non è indispensabile essere fisicamente anormale: per i Greci, ad esempio, le abitudini alimentari di un popolo sono un segnale importante per stabilirne l’appartenenza o meno al genere umano; altro fattore è il possesso della parola, poiché i suoni prodotti da chi non parla greco non costituiscono una vera comunicazione di uomini razionali. Il “diverso” vive al di fuori dell’ambiente culturale della città: per i Greci la polis è fondamentale, perciò chi non ha città non ha leggi e quindi neanche umanità; nella maggior parte dei racconti greci, ma anche romani, le razze mostruose sono collocate sulle montagne, nelle caverne, nel deserto, nei boschi; infine, gli uomini mostruosi sono spesso rappresentati nudi o vestiti solo di pelli di animali. Certamente la nudità è una convenzione necessaria perché l’artista possa mostrare le loro caratteristiche fisiche, ma essa ne sottolinea anche l’essere primitivi e più vicini agli animali che agli uomini. Le razze mostruose non conoscono quindi la civiltà, né le arti, non hanno vere armi, né veri vestiti, non parlano come gli uomini, non si comportano come loro, né mangiano le stesse cose, insomma questi popoli sono visti come mostruosi perché non assomigliano agli Europei occidentali o non condividono le stesse usanze culturali. Il senso della diversità è così forte che sia Greci sia Romani, i quali si immaginano al centro del mondo civilizzato e vedono nel proprio modo di vivere la norma, non li considerano uomini, le loro caratteristiche li relegano ai margini, in ogni senso: più ci si allontana da questo centro, più si è lontani dalla “normalità”. Si pensava inoltre che l’influenza del clima rendesse gli uomini diversi: si credeva, ad esempio, che nell’Estremo Oriente il caldo e l’umidità eccessive creassero i presupposti per una corruzione generale dell’aria e del suolo e, dunque, per la nascita di esseri prodigiosi e deformi, sia umani sia animali.

L’imprescindibile punto di partenza per una catalogazione dei popoli mostruosi conosciuti nel Medioevo è rappresentato dalle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, sintesi di tutto il sapere, profano e religioso, ereditato dall’Antichità e ampiamente diffuso nel Medioevo, ripreso successivamente e alla lettera da Rabano Mauro (780/784-856), nel suo De Rerum Naturis; e proprio in un manoscritto del De rerum naturis di Rabano Mauro (Montecassino, Archivio dell’Abbazia, ms. 132) vergato per volere dell’abate Teobaldo (1022-1023), i popoli mostruosi sono rappresentati per la prima volta in un’immagine d’insieme. Il capitolo De portentis è preceduto da una miniatura dove quindici esemplari di popoli fantastici sono disposti su quattro registri: da sinistra a destra sono rappresentati, completamente nudi, Androgini, Cinocefali, Ciclopi, Blemmi, Gastrocefali e Stetocefali, Artabatiti, Satiri, Panotii, Sciapodi, Antipodi, Ippopodi, due Pigmei seduti al riparo di un albero e tre centauri, di cui gli ultimi due con in mano un bastone.

All’VIII secolo appartiene il Liber Monstrorum, scritto in Inghilterra, la prima opera palesemente polemica e ostile nei confronti delle razze mostruose; più tarde sono poi le grandi raccolte enciclopediche del XII e  XIII secolo, come  l’Imago mundi di Onorio di Autun (prima metà del XII secolo) e Li livres dou Trésor di Brunetto Latini (1260-1267), e le lettere e i racconti di viaggio, veri o immaginari, come la Lettera del Prete Gianni (fine XII secolo), leggendario re cristiano, sovrano e sacerdote di un regno sterminato, perso in Etiopia, e il Livre des merveilles du monde di Jean de Mandeville (1356); paradossalmente, sono invece trascurate le relazioni di viaggio di missionari, i cui scritti si caratterizzano anche per la sincerità, l’esattezza e il realismo ma che furono considerati alla stregua di racconti non attendibili perché mancano o sono carenti di citazioni dalle auctoritates del passato; anche il mercante veneziano Marco Polo, autore del Milione, per molti dei suoi contemporanei divenne il maggior millantatore e bugiardo di tutti i tempi, perché i suoi racconti oltrepassavano i limiti del consueto orizzonte culturale, e solo alla metà del XV secolo gli eruditi cominciano a interessarsi alla sua opera. Dunque, nella tarda Antichità e nel Medioevo, in cui abbondano i trattati sui mostri, si registra un salto: il mostro, da prodigio e segno divino diventa un problema di storia della scienza, garantito non più dall’interpretazione del divinatore, ma dall’auctoritas dell’autore del singolo trattato. I mostri vengono tramandati di testo in testo, diventano personaggi del fantastico, perdono il primitivo significato simbolico di presagi e ne assumono altri, prima morali e poi allegorici.

L’iconografia medievale non nasce, comunque, ex nihilo: gli artisti del Medioevo, per rappresentare i popoli mostruosi, seguono, da un lato, la tradizione visiva basta su immagini precedenti e, dall’altro, la tradizione testuale, per la quale è necessario inventare nuove immagini, che prende le mosse da fonti letterarie e le traduce nel linguaggio artistico medievale. Nelle prime enciclopedie e nei bestiari le razze mostruose sono rappresentate in maniera cruda e rigida, mentre nelle opere sui viaggi e sulle meraviglie dell’Oriente, che hanno una grande diffusione nel XV secolo, le razze favolose sono trattate in modo più “divertente” e sono più un passatempo per facoltosi bibliofili o per chi vuole viaggiare con la fantasia. Fin dalle prime rappresentazioni artistiche, i popoli mostruosi sono isolati dal loro contesto geografico, che normalmente è l’Asia o l’Africa, ed ogni razza è indipendente dalle altre, spesso presentata all’interno di una cornice, in posizione statica e frontale; nei racconti di pellegrinaggio e delle Crociate, invece, si mostra un certo interesse anche per l’ambiente, per le caratteristiche fisiche, alimentari, religiose dei popoli incontrati: in questo caso l’approccio è diverso, perché la letteratura di viaggio ha come soggetto non le razze di per sé stesse, ma la loro relazione con gli occidentali, ed esse sono per questo rese più grottesche, orribili, minacciose.

Le popolazioni mostruose trovano grande spazio soprattutto, nelle carte geografiche dell’epoca, derivanti da speculazioni cosmogoniche e da vincoli religiosi (in particolare la Bibbia) indifferenti al sapere astronomico e matematico e noncuranti di offrire una rappresentazione geografica veritiera, perdendo così qualsiasi finalità pratica e/o speculativa. Le carte a T-O, chiamate Imago Mundi Rotonda, o anche Mappe Noachidi, dalla loro suddivisione biblica in tre parti, una per ciascuno dei tre figli di Noè, (per maggiori approfondimenti sulla cartografia medievale, vedi i miei lavori qui) pongono Gerusalemme al centro, mentre l’Africa, l’Asia e l’estremo Nord rimangono terre sconosciute, diventando zone in cui il meraviglioso ed il mostruoso rappresentano la regola: se il centro rappresentava quindi la “norma”, più ci si allontanava da esso, più le condizioni ambientali erano un habitat ideale per le razze mostruose, accettate dalla cultura cristiana senza discuterne l’esistenza come manifestazioni dell’onnipotenza divina, e divenute simbolo delle virtù e dei vizi degli uomini. Esse compaiono soprattutto nelle grandi mappae mundi realizzate a partire dal 1120 circa, come quelle di Ebstorf, Hereford, la cosiddetta Mappa Mundi del Ducato di Cornovaglia, la mappa del Salterio di Londra o quelle illustranti i Commentari all’Apocalisse di S. Giovanni di Beato di Liébana, e sono accatastate in scomparti al confine estremo della Terra (solitamente a Sud), accompagnati talvolta da una didascalia riassuntiva. L’identità fra mostruosità e popoli che vivono in terre sconosciute si manterrà costante nei secoli successivi, mentre l’ubicazione geografica di questi popoli si sposterà, mano a mano che il confine delle terre conosciute viene ampliato. Questo processo di traslazione del confine geografico del mito è simile a quello che interessa gli animali favolosi dei Bestiari, in special modo dopo il XV secolo, quando, con le esplorazioni delle Americhe, dell’Africa e in seguito dell’Oceania, diversi animali reali subiscono, fino a che non vengono ben conosciuti e descritti dai naturalisti, un processo di mitizzazione tanto più elaborato quanto più scarse sono le notizie che li riguardano.

La rappresentazione di esseri mostruosi e irreali è un tema diffusissimo anche nell’arte, a partire dai popoli primitivi e dalle civiltà antiche, dove essa aveva un contenuto religioso e/o simbolico; il mostruoso e l’immaginario, però, svuotati di questi significati, continuarono nel corso dei secoli ad occupare un posto importante nell’iconografia artistica. Nel Medioevo, rappresentazioni di popolazioni fantastiche si ritrovano all’interno ed all’esterno delle cattedrali (capitelli, timpani, architravi, metope), nei mosaici, negli affreschi, nelle miniature, su vetro, su panno. Vi riporto qua gli esempi del timpano centrale della chiesa della Madalena a Vézelay, costruita a partire dal 1050, dove sono rappresentati, nella prima cornice e nell’architrave, i popoli che attendono ancora l’opera di evangelizzazione degli apostoli, come in una rappresentazione cartografica dell’oikuméne; o le metope della Cattedrale di Modena, originariamente poste all’esterno (ed ora conservate nel Museo lapidario del duomo), del primo quarto del XII secolo, dove possiamo riconoscervi un Ermafrodita, un rappresentante degli Antipodi, un Ittiofago; o il mosaico della cattedrale di Otranto, eseguito dal monaco Pantaleone tra il 1163 e il 1165, che si estende per tutte e tre le navate, dall’ingresso fino all’abside, come una sorta di “omelia figurata”, tratta dal repertorio biblico e profano, nella quale ai vari soggetti si mescolano animali e popoli mostruosi, tratti dai vari bestiari, in particolar modo il Physiologus.

La fantasia geometrico-grottesca si afferma anche nei capitelli, che rispondono al concetto romanico di una scultura integrante l’architettura. Essi sono considerati come “zona intermedia” tra il cielo e la terra, e si fanno portavoce dei demoni e dei mostri, mentre la pittura e il mosaico parietale della parte destinata al clero ne rimangono quasi immuni. Le figure mostruose e grottesche che risultano da simili deformazioni non sono il frutto di un capriccio arbitrario dell’immaginazione, bensì di leggi geometriche precise, perché l’equilibrio architettonico è uno schema vincolante e, sebbene sembri una contraddizione, è dal calcolo più rigoroso, che lo scultore è obbligato a rispettare, che si arriva alla creazione delle figure più fantastiche e imprevedibili.

I mostri, inoltre, popolano anche le miniature, sottoforma di drôleries (verso la metà del Duecento), gli stalli dei cori, oltre che i cosiddetti “doccioni” tipici dell’architettura gotica delle cattedrali.

Ma qual è la vera origine di questi popoli mostruosi? La tradizione letteraria medievale ha a disposizione circa cinquanta diverse razze mostruose, che spesso si combinano tra loro e che si concentrano soprattutto in Africa e in India, anche se il loro luogo d’origine non rimane fisso. La prima domanda che ci si pone oggi è come gli antichi prima, e i mercanti, i crociati, i missionari e i pellegrini poi, che hanno viaggiato in quelle zone, abbiano potuto credere all’esistenza di così tanti popoli mostruosi. Le spiegazioni possono essere diverse: per prima cosa, il bisogno psicologico di razze mostruose, l’attrazione che esercitavano sull’uomo medievale si basava sulla fantasia, l’evasione dalla realtà, l’immaginazione e, molto importante, la paura dell’ignoto. Inoltre possiamo affermare che, in realtà, molte razze mostruose esistono ancora oggi, anche se ci è difficile riconoscerle in base ai racconti medievali: ad esempio, i Pigmei possono essere identificati in popolazioni di aborigeni; i giganti descritti dagli Europei che erano stati in Africa potrebbero essere i Watussi; gli Antropofagi altri non sarebbero che i cannibali. Altre volte i popoli mostruosi possono essere nati da errori di percezione dei primi viaggiatori: dietro i racconti dei Cinocefali potrebbero esserci in realtà babbuini o scimmie antropomorfe, mentre i Blemmi, che erano soliti usare scudi decorati o protezioni per il torace, da lontano potevano apparire come se non avessero il collo, e testa e torace fossero un’unica cosa. Infine, la pratica dello yoga in alcune sette dell’Induismo può spiegare altre mostruosità rilevate dai Greci, come nel caso degli Sciapodi, rappresentati stesi sulla schiena mentre si proteggono dal sole con l’unico piede, che in realtà potrebbe rappresentare una posizione yoga.

Molti dei mostri che troviamo nel Medioevo occidentale non “muoiono”, come ci si potrebbe aspettare, con la fine di quest’epoca. Nel XV e XVI secolo c’è un recupero del concetto di “mostro” nell’antico significato di portentum, di segno divino, così ritroviamo l’interpretazione dei parti mostruosi e dei fenomeni naturali insoliti come presagi, perlopiù funesti. Il mostro subisce delle trasformazioni, si adatta alle diverse epoche, ma non cessa di esistere, persino nella nostra non abbiamo rinunciato al tentativo di cercarli: gli extraterrestri e alcuni mostri sopravvissuti in regioni remote, come l’Himalaya o luoghi difficilmente sondabili, come Loch Ness o gli abissi marini ad esempio, hanno preso il posto dei mostri e dei luoghi esotici di un tempo.

Si può arrivare alla conclusione che il mostro sembra avere un ruolo necessario, forse vitale, nella psiche umana. Se il mostro appare in ogni epoca, in ogni civiltà, esso ha certamente una “funzione naturale”.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

AA.VV., “Imago mundi”: la conoscenza scientifica nel pensiero bassomedievale, in “Atti della XXXVI settimana di studio del Centro Italiano di studi sull’Alto Medioevo, Todi 1983.

Bologna C., Liber monstrorum de diversis generibus. Libro delle mirabili difformità, Milano 1977.

Camille M., Image on the edge. The margins of Medieval art, London 1992.

Carrara E., voce “Popolazioni favolose”, in Enciclopedia dell’arte medievale, vol. IX, Roma 1998, pp. 646-653.

Kappler C., Demoni mostri e meraviglie alla fine del Medioevo, Firenze 1983.

Rizzo C. (a cura di), Fabelwesen, mostri e portenti nell’immaginario occidentale: medioevo germanico e altro (Bibliotheca Germanica, Studi e testi, 15), Alessandria 2004.

Sebenico S., I mostri dell’Occidente medievale: fonti e diffusione di razze umane mostruose, ibridi ed animali fantastici, Trieste 2005 (la mia principale fonte di ispirazione; per un maggiore approfondimento sul tema, riccamente decorato di immagini).

Tardiola C., Atlante fantastico del Medioevo, Roma 1990.

Westrem S. D., The Hereford Map. A transcription and translation of the legends with commentary, Turnhout 2001.

https://it.wikipedia.org/wiki/Popoli_mostruosi

 

 

 

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