Cari lettori, eccoci alla seconda puntata de La veglia di Kurt… curiosi di sapere come va a finire, vero? Riuscirà Alice ad andare in America a salutare per l’ultima volta l’adorato Kurt? Buona lettura!!
Riassunto della puntata precedente: Alice è una ragazza diciottenne con due grandi amori: quello “reale” per il fidanzato Tommaso e quello “platonico”, ma forte, per Kurt Cobain, leader dei Nirvana. Una mattina, la ragazza apprende dalla TV che Kurt si è tolto la vita e, sconvolta, cerca consolazione andando a casa di Tommaso, ma lo trova con la sua amica Martina…
Alice camminava a passo svelto per la Cassia. Tommaso abitava fuori Roma e casa sua era molto lontana da lì. Decise di aspettare l’autobus e quando arrivò. Per fortuna l’attesa durò poco. Non sapeva di preciso dove andare, aveva voglia solo di piangere e rimanere in silenzio. Montò in metropolitana e scese a Piazza del Popolo. Salì le scale per il Pincio a due a due e una volta arrivata in cima si sentì molto meglio. Si era trasferita a Roma con la famiglia quando aveva sette anni e la Città Eterna le era entrata subito nel cuore. Si era sempre sentita a casa e camminare e respirare aria vecchia di millenni la faceva calmare. Il Pincio era il suo “nascondiglio” segreto. Veniva qua quando era triste perché avrebbe voluto crescere in fretta, veniva qui quando per un attimo le sarebbe piaciuto tornare bambina. Anche quel giorno, la magia di quel posto, che domina Roma dall’alto, fece il suo effetto. Servì a farla ragionare e razionalizzare. Le era tornata la voglia di parlare, di sfogarsi, forse le avrebbe fatto bene pensò. Così se ne stette due ore a camminare nel verde di Villa Borghese, poi, verso le due di pomeriggio, da una cabina telefonica chiamò Flaminia. Parlarono di scuola per circa dieci minuti. Poi Alice le chiese se poteva passare da casa sua. Parlarono di quanto era successo, di Kurt. Alice scoppiò a piangere al telefono, poi le disse che fra poco sarebbe arrivata e posata la cornetta, uscì dalla cabina e si incamminò.
Flaminia abitava poco distante dal Pantheon. In dieci minuti Alice arrivò sotto casa sua. Suonò il campanello. Flaminia le aprì la porta. Da dietro di lei un ragazzo moro e alto le sorrise.
«Piacere, Alessio» si presentò lui. Alessio era molto più grande delle due ragazze. Forse anche di Tommaso. A occhio Alice gliene diede trenta. Poi gli porse la mano.
«Alice», gli sorrise. Flaminia gli diede un bacio sulla bocca.
«Ci siamo conosciuti ieri sera.» Flaminia si avvicinò ad Alice. «Bello vero?»
Alice sorrise all’amica. Era un sorriso sincero. Magari lei avrebbe avuto più fortuna. Flaminia guardò il sorriso dell’amica e contraccambiò.
«Tommy?»
«È a casa, deve preparare la tesi» La bugia le venne spontanea. Forse non aveva ancora metabolizzato tutto quello che era successo. Del resto, dalla sera prima ad ora, ne erano successe troppe, e parlarne era ancora difficile.
«Andiamo ragazze?» Alessio interruppe la conversazione fra le due.
«Dove andiamo?» chiese Alice.
«Raggiungiamo mio fratello a casa di Fabrizio, un suo amico. Gli ho parlato dell’America e mi ha detto che ha una proposta per te.»
Alice guardò incuriosita Flaminia.
«Non so altro davvero, ti spiegherà tutto lui! I tre ragazzi si incamminarono. Alice non pensò a niente, né a Kurt, né a Tommaso per tutto il tragitto. Forse, in realtà non voleva pensare e ci riuscì.
Il piccolo triste, sensibile …! Perché non ti diverti e basta? Non lo so! Ho una moglie divina che trasuda ambizione e empatia e una figlia che mi ricorda troppo di quando ero come lei, pieno di amore e di gioia.
Bacia tutte le persone che incontra perché tutti sono buoni e nessuno può farle del male. E questo mi terrorizza a tal punto che perdo le mie funzioni vitali. Non posso sopportare l’idea che Frances diventi una miserabile, autodistruttiva rocker come me.
Alice, Flaminia e Alessio arrivarono davanti a casa di Fabrizio poco più tardi. Flaminia bussò alla porta. Ad aprirle venne Mario, suo fratello che, prima la abbracciò, poi li fece entrare. La casa era composta da un’unica stanza, grande a sufficienza per una persona e da un bagno. Fabrizio era seduto su un divano vecchio almeno di vent’anni. Stava giocando al Sega Mega Drive. Sonic, un riccio blu, con capriole e musichetta allegra, gli stava facendo smaltire tutta l’erba che si era fumato quel pomeriggio. L’odore di fumo e di chiuso fece fare una smorfia ad Alice.
«Che ci faccio qua?» Pensò fra sé e sé. Fabrizio interruppe il gioco. Si voltò, vide i tre ragazzi e si alzò.
«Ciao Flaminia, quanto tempo! Come stai?» Fabrizio l’aveva vista crescere. Era dai tempi delle medie che lui, ogni santo giorno, andava a casa di Mario per studiare. Era diventato come un secondo fratello per lei in quel periodo.
«Tu devi essere Alice», disse Fabrizio rivolgendosi alla ragazza e porgendogli la mano. Alice contraccambiò e annui con la testa.
«E tu?», disse guardando Alessio dal basso verso l’alto?
«Mi chiamo Alessio, sono il ragazzo di Flaminia». Contemporaneamente alle parole, il ragazzo abbracciò Flaminia. Mario guardò la sorella, per un attimo con un pizzico di gelosia, poi sorrise.
«Ti ricordi quando giocava con le Barbie e noi le nascondevamo le teste?» Mario e Fabrizio scoppiarono a ridere.
«Non era divertente!» esclamò Flaminia sciogliendosi in un sorriso e sprofondando sempre di più la testa fra le braccia del suo ragazzo.
«Alice, veniamo a noi», disse Fabrizio, tornato serio di colpo. «Vieni, siediti» continuò, indicandole una sedia di paglia probabilmente sottratta a qualche bar di zona. Flaminia si sedette sul divano con Alessio. Mario uscì dal bagno con una bustina in mano. La aprì. Cominciò a rollare una canna di marijuana. Fabrizio prese la poltrona. La portò davanti ad Alice, che, un po’ a disagio, stava con la testa bassa.
«Mi ha detto Mario che faresti di tutto per andare alla veglia di Kurt.»
Alice, quando sentì il nome del biondo di Seattle, alzò lo sguardo.
«Sarebbe un sogno potergli dire addio insieme a tutti i suoi fans!» Fabrizio si alzò dalla poltrona. Si avvicinò ad uno stereo e premette un pulsante. Bastarono poche note ad Alice per capire che si trattava di “Nevermind”. Fu più forte di lei, non riuscì a trattenere le lacrime che solcarono le guance rosse per il caldo che circolava nella stanza.
«Io vado», esordì Fabrizio. Mario nel frattempo passò la canna a Flaminia. Anche Alessio si fece qualche tiro. Poi il joint arrivò a Fabrizio, che lo prese, fece un lungo tiro e lo passò ad Alice. La ragazza fece di no con la testa.
«Chi non fuma in compagnia …»
«O è un ladro o una spia» disse Alessio con un sorriso. Flaminia lo baciò. Poi gli fece una carezza sulle gambe. Alice sorrise, e forse per sentirsi meno a disagio, afferrò lo spinello. Fece un tirò, tossì. Risero tutti. Anche Alice.
«Così va meglio!… Torniamo a noi … Ho due biglietti per New York, e uno di questi è tuo … ma ho bisogno di un favore.» Alice aveva gli occhi che gli brillavano. Inaspettatamente, vide la possibilità di realizzare il suo sogno.
«Di che si tratta, sono disposta a fare tutto per quel biglietto»
«Devi portare nel tuo zaino, due chilogrammi di eroina!» disse senza girarci troppo intorno Fabrizio. «Una ragazza di diciotto anni, non la controlleranno e una volta arrivati là, io prenderò la roba e insieme andremo alla veglia» Fabrizio sorrise. Aspettò per qualche istante una qualche reazione da parte di Alice. La ragazza si voltò verso l’amica che guardandola annuiva con la testa.
«E dai Ali, che male c’è? Non succederà niente» le disse. «Non ti succederà niente, vedrai!»
Alice rimase in silenzio ancora qualche istante. Poi si alzò dalla sedia.
«Ci sto…» Fabrizio balzò in piedi, le accarezzò il braccio, poi si diresse verso il divano. Flaminia e Alessio si alzarono. Fabrizio alzò i cuscini. Ne estrasse quattro sacchetti pieni di eroina. Li diede ad Alice.
«Mi raccomando, valgono molti soldi! Mario, accompagnala a casa»!
Per strada Mario spiego tutti i dettagli ad Alice, che, aiutata da Flaminia, si segnò tutto sul diario che portava sempre con se. Luogo di ritrovo, ora di partenza e come nascondere la roba nello zaino. Inoltre le suggerì anche come fare con i genitori. Flaminia intanto era rimasta sola. Alessio era dovuto tornare a casa. Arrivati sotto il portone di Alice Mario le salutò e tornò indietro.
«Flami, rimani a cena …» La ragazza esitò un attimo.
«Ti prego! Mi sono lasciata da Tommaso oggi!»
Flaminia guardò con stupore l’amica.
«Sapevo che era successo qualcosa quando mi hai chiamato! Ok, rimango, ma devo avvertire mamma.»
Alice sorrise, «Grazie!». Le due entrarono in casa.
Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall’età di sette anni che sono avverso al genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso sia solo perché io amo troppo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati.
Antonio aveva accompagnato Flaminia a casa intorno alle undici di sera. Quando tornò Alice era già in camera. Antonio aprì la porta della camera della figlia. La luce era spenta. Alice, nel suo letto, stava dormendo. L’uomo sorrise, poi chiuse la porta e se andò verso camera sua e della moglie.
Non appena sentì chiudere la porta della camera dei genitori, Alice aprì di colpo gli occhi. Facendo il silenzio più assoluto accese la luce della lampada che aveva sul comodino. Si mise seduta sul letto. Aprì il cassetto, strappò una pagina bianca da suo diario e cominciò a scrivere.
“Mamma e Papà, forse sto per fare la sciocchezza più grande di tutta la mia vita. Forse, per riconquistare la vostra fiducia occorreranno anni e anni ma devo andare. Devo partire. Non vi ho chiesto neanche il permesso di farlo, non avreste capito cosa significa per me andare in America a salutare, per l’ultima volta Kurt Kobain. Non cercatemi, tornerò presto. Parto stanotte. Vi voglio bene, davvero. Alice”.
Alice si mise a piangere subito dopo aver finito di scrivere quelle righe. Era stato così difficile farlo. Posò la lettera sulla scrivania e guardò l’ora. Era tardi. Si asciugò le lacrime e cominciò a vestirsi, sempre facendo attenzione a non fare il minimo rumore. Poi prese lo zaino, già preparato la sera insieme a Flaminia. Passò davanti alla porta dei genitori. Li vide, nella penombra. Stavano dormendo sonni tranquilli. «Sto per deluderli!» pensò! L’esitazione durò un attimo, Alice si fece coraggio, fece un lungo sospiro e scese le scale. Poi uscì.
La notte del 8 aprile 1994 era piena di stelle. Alice le osservava mentre, un passo dopo l’altro, si avvicinava al luogo dell’incontro. Ingannava i brutti pensieri giocando a creare forme nel cielo unendo i puntini luminosi. Uno squalo, un bambino che porge una zolletta di zucchero ad un cavallo, perfino due amanti che si tenevano per mano.
Le strade erano deserte. Erano le tre, quando subito dopo aver sentito le campane di Santa Maria Maggiore, Alice udì il rumore di sirene, che da lontano si stavano avvicinando. Non ci fece caso. «Sarà un ambulanza», pensò. Continuava a camminare. Le sirene erano sparite dal suo campo uditivo. Era quasi arrivata. Osservava Roma di notte e ancora una volta, dopo anni e anni riusciva ad emozionarsi. Due fari la colpirono alle spalle. Poi una luce blu. Il sangue che si gelò e le gambe che da sole, si bloccarono. La macchina le si avvicinò. Scesero due poliziotti. Riconobbe Alessio. Alice rimase immobile. Era fregata, ma non le importava.
«Scusa» disse Alessio sottovoce.
«Signorina, che ci fa nel cuore della notte, possiamo vedere il suo zaino?» disse con voce decisa l’altro agente. Alice non disse una parola. Lacrime sottili le scendevano lungo le guance facendole un lieve solletico. I poliziotti avevano trovato l’eroina nel suo zaino.
«Deve venire con noi signorina!»
Alice si lasciò ammanettare e si fece accompagnare alla macchina. Avrebbe chiamato i suoi genitori dalla questura. Chissà come avrebbero reagito. Alice non pensò alle conseguenze. Era come svuotata, privata di qualsiasi reazione emotiva. Montò in macchina.
Guardò verso l’alto. L’8 aprile del 1994, il cielo era veramente bellissimo. Solo la luna, fonte di ispirazione per i più grandi artisti di sempre, sembrava meno luminosa e triste. Forse anche lei aveva saputo della morte di Kurt, un poeta oltre che un rocker di successo.
La macchina partì. Alice rimase in silenzio per quasi tutto il tragitto poi, si mise a fischiettare. Lithium, la sua canzone preferita.
Io sono troppo un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.
Pace, Amore, Empatia.
Kurt Cobain
P.S. Frances e Courtney, io sarò al vostro altare. Ti prego Courtney continua così, per Frances. Per la sua vita, che sarà molto più felice senza di me. Vi amo, vi amo! Kurt.
(fine)
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